Titolo: Zucchero e catrame
Autore: Giacomo Cardaci
Editore: Fandango Libri
Pagine: 283
Prezzo: € 17,50
Uscita: 28 febbraio 2019
Trama
Cesare è un bambino che chiacchiera e gioca a Memory con il suo circolo multietnico di Barbie, ha scelto Ines detta Lines come amica per non rimanere da solo in fila a scuola, passa i suoi pomeriggi con una anziana che lo cosparge di profumo, detestata dai suoi genitori perché fomen ta le sue stramberie. La sua vita di paese sarebbe potuta continuare sempre uguale, se a stravolgerla non fosse arrivato il trasferimento di tutta la sua famiglia in un monolocale ai bordi miserabili tra Milano e Cinisello.
Al piano di sopra, però, abita Gabbo, da cui Cesare, ormai cresciuto, è dannatamente eccitato, perché Gabbo è tutto ciò che Cesare vorrebbe essere: uno deciso a prendersi dalla vita tutto, costi quel che costi. Per questo, quando suo padre viene arrestato, la madre si rifugia nel letto, il fratello scompare, Cesare decide di risalire dal fondale del proprio abbandono seguendo le tracce di Gabbo. Per entrare nel giro, però, Cesare deve smettere di essere Cesare, dire di sì a ogni tipo di richiesta ma anche abbandonarsi a una fascinazione morbosa simile a quella che prova per Gabbo. Una fascinazione che lo eccita come lo zucchero ed è ripugnante come il catrame, e che alla fine gli chiederà un conto molto, forse troppo, salato.
Biografia
Giacomo Cardaci (Udine 1986), considerato una delle voci più interessanti della sua ge- nerazione, ha vinto, con i suoi racconti, nu- merosi premi letterari, tra cui il Pier Vittorio Tondelli e il Piero Chiara Giovani. Ha esor- dito con Alligatori al Parini, seguito da La formula chimica del dolore (Mondadori 2008, 2010). Il suo racconto Crioconservazione è stato pubblicato su Nuovi Argomenti
Prologo
Ho scritto queste pagine durante il periodo in cui ho vissuto nel carcere minorile di Milano, il Cesare Beccaria, dove sono stato rinchiuso circa tre anni fa, poco più che diciassettenne, a causa di una sentenza giusta, di cui parlerò in seguito. Man mano che le ho accumulate, le ho lette al mio compagno di stanza, Moustafa, un ragazzo marocchino i cui occhi neri mi osservavano come quelli di un feli- no allertato da un suono pericoloso, nella foresta scura.
Queste pagine, infatti, gliele ho interpretate soprattutto di notte, quando non riuscivamo ad addormentarci per il tormento dei nostri ricordi dolorosi, per il ronzio delle zanzare carnivore, ingolosite dal nostro sangue caldo, per le fantasticherie sul nostro futuro e per i fantasmi dei de- tenuti morti che, secondo i deliri stupidi, ma contagiosi, di Moustafa, dopo il tramonto attraversano le pareti del carcere e alitano un soffio gelido sul collo dei detenuti più giovani, inzuppandoli di paura.