Titolo: Sanguina ancora
Sottotitolo: L’incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij
Autore: Paolo Nori
Editore: Mondadori
Pagine: 287
Prezzo: € 18,50
Uscita: 13 aprile 2021
Recensione
Paolo Nori ci propone un saggio, con una spruzzata di romanzo e di critica letteraria dal titolo “Sanguina ancora” e dal dettagliato sottotitolo “L’incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij” che strizza l’occhio alla figura, a mio parere, importante e carismatica dello scrittore. Il volume è pubblicato da Mondadori e la copertina attira subito la nostra attenzione. Inoltre, è tra i cinque candidati alla cinquantanovesima edizione del “Premio Campiello 2021”.
Indubbiamente non è un libro da leggere tutto d’un fiato, ma anzi è l’opposto, almeno per me è stato così. Infatti, ci ho messo un mese perché ho voluto gustarmelo lentamente e mi sono dedicato ad esso con poche pagine al giorno. Sicuramente è un saggio molto interessante, specialmente per chi ama la figura di Fëdor Dostojevskij, che personalmente ho trovato sempre interessante ed affascinante. Il libro, però, è dedicato molto anche alla letteratura russa, quindi non aspettatevi solo Dostojevskij perché altrimenti resterete delusi.
Paolo Nori ci racconta in tantissimi paragrafi spesso molto brevi, diverse nozioni ed informazioni. Ci regala anche aneddoti e curiosità, inoltre affronta tutto a 360 gradi, riuscendo a soddisfare molte nostre domande. “Sanguina ancora” è composto da tredici capitoli (ognuno suddiviso in moltissimi paragrafi), seguiti da alcune pagine dedicate alle note e altre dedicate ad una accurata biografia.
Il libro è, sia da leggere, che da studiare, quindi munitevi di una matita per segnare i passaggi per voi più importanti ed interessanti, sui quali magari ritornare una volta terminato.
La lettura, seppure molto interessante è, a volte, difficile e bisogna concentrarsi. Il tutto è raccontato come in forma di monologo, quindi anche per questo motivo ne consiglio la lettura di poche pagine per volte.
L’autore tocca molti argomenti e diverse tematiche e lo fa con grande precisione. Si intuisce perfettamente che dietro c’è stato prima uno studio e una ricerca scrupolosa e dettagliata.
“Sanguina ancora” mi ha incuriosito fin dall’inizio perché, come ho scritto sopra, sono appassionato della figura di Fëdor Dostojevskij, ma mi ha messo, a volte, a dura prova. Non è proprio scorrevole, ma è comunque assai interessante e ricco di dettagli. Paolo Nori ci istruisce parecchio.
L’autore con questo suo libro si è impegnato, a mio avviso, a fare divulgazione, a trasmetterci il suo sapere sull’argomento. La sua penna è molto particolare, infatti, secondo me, può anche accadere che non piaccia a tutti, perché ha un suo modo originale di scrivere e non è facilmente inquadrabile. La sua è una scrittura fuori dagli schemi, molto originale e, a tratti, anche accattivante.
Se desiderate, quindi, leggere un libro che si può inquadrare principalmente come saggio e dedicato a Dostojevskij e alla letteratura russa, allora “Sanguina ancora” fa al caso vostro.
Ed ora vi propongo l’incipit del capitolo Zero e poi del capitolo 1 così vi fate un’idea:
“Che senso ha, oggi, nel 2021, leggere Dostoevskij? Perché una persona di venti, o di trenta, o di quaranta, o di settant’anni dovrebbe mettersi, oggi, a leggere, o a rileggere, Dostoevskij? Ecco. Domanda che non mi mette minimamente in imbarazzo.
La mia risposta è: non lo so. Io, qualsiasi domanda mi si faccia, rispondo quasi sempre, come prima cosa, che non lo so. Poi, delle volte, vado avanti. In questo caso, se mi si chiedesse che senso ha, oggi, nel 2021, leggere, o rileggere, Dostoevskij, direi che non lo so. Poi andrei avanti. E direi che c’è un personaggio secondario di Delitto e casti go, che si chiama Svidrigajlov, che a un certo punto dice che non c’è niente di più difficile della franchezza e niente di più facile dell’adulazione. E che se nella franchezza c’è anche solo un centesimo di nota che suona falso, si avverte subito una stonatura, e ne viene fuori una scenata. Mentre l’adulazione, anche se è tutto falso, sino all’ultima nota, riesce comunque sempre gradita, e la si ascolta non sen za piacere; sarà pure un piacere grossolano, ma è pur sempre un piacere, dice Svidrigajlov…”
“Nella prima cosa che ho letto in cirillico, di Dostoevskij, c’è una balla. Una menzogna, direbbe forse lui. È un pezzetto che si trova in un libro che si intitola Teksty i risunki (Testi e disegni), pubblicato a Mosca nel 1989 dalla casa editrice Russkij jazyk (Lingua russa), libro destinato agli studenti di russo. Si tratta di una nota che Dostoevskij ha lasciato il 31 gennaio del 1873 nell’album dei ricordi di Ol’ga Aleksandrovna Kozlova, una sua conoscente di Pietroburgo. Lì, a un certo momento…”
Trama
Tutto comincia con “Delitto e castigo”, un romanzo che Paolo Nori legge da ragazzo: è una iniziazione e, al contempo, un’avventura. La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo, pubblicato centododici anni prima, a tremila chilometri di distanza, apre una ferita che non smette di sanguinare. “Sanguino ancora. Perché?” si chiede Paolo Nori, e la sua è una risposta altrettanto sanguinosa, anzi è un romanzo che racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo.
Se da una parte Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Fëdor M. Dostoevskij, dall’altra lascia emergere ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare. Perché di questa prossimità è fatta la convivenza con lo scrittore che più di ogni altro ci chiede di bruciare la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere.
Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo Gogol’, aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della “città più astratta e premeditata del globo terracqueo”, giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo (“Abbiate dei figli! Non c’è al mondo felicità più grande”, è lui che lo scrive), goffo, calvo, un po’ gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi. Quanto ci chiama, sembra chiedere Paolo Nori, quanto ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità? Quanto ci chiama a riconoscere dove la sua ferita continua a sanguinare?