Buongiorno lettrici e lettori,
vi propongo una nuova intervista. Questa volta il protagonista è Daniele Pozzi, autore del libro “Affreschi di quartiere” pubblicato da “Scatole Parlanti”.
Se volete potete leggere la mia recensione cliccando qui.
Intervista
1 – Come è nato il tuo ultimo libro “Affreschi di quartiere”?
È iniziato quasi per gioco, scrivendo a mano con l’inchiostro sulla carta di un taccuino nero. Ha preso da subito un passo deciso tutto suo, che non ho voluto ostacolare o deviare altrimenti. Il taglio è quello dei racconti, macchie di ricordi, “affreschi” appunto, mi piace dire sparati giù dal cannone di mezzogiorno a colorare i muri bianchi tutt’attorno.
Sono storie, spigolature, fotogrammi del quotidiano, gli spaccati del vissuto visti però con gli occhi dei più piccoli, capaci come sono di giocare con il nulla, o forse il molto, che c’era in quel tempo di cui parlano queste pagine. Siamo in una borgata romana, a Magliana per la precisione, in una realtà di confine a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, che ho vissuto io stesso.
C’è la voglia di divertirsi divertendo a cui si è unita quella di scrivere qualcosa di diverso, di meno “sbieco” del mio solito. Un tentativo di sorridere e far pensare allo stesso tempo. In questo momento buio che stiamo vivendo tutti, e in tanto distanziamento sociale, ho puntato a questo doppio effetto, provando a ricordare un altro modo possibile di essere umani. Non parlo di nostalgia, di “effetto lacrima” a buon mercato, piuttosto metto in luce, ridendoci su con la mia pelle per prima, i difetti, le mancanze, gli scippi personali e sociali, dove però certi bagliori d’umanità spiccavano forte.
Hanno preso forma in un primo momento come brevi cineracconti, che ho realizzato con la mia piccola ma tenace squadra, pubblicati sul mio canale Youtube (Omar dei corvi). Inaspettatamente hanno avuto un così piacevole riscontro da parte delle persone – che hanno preso a interagire con suggerimenti e ricordi – che è iniziata la sfida di farli diventare un libro vero, raccolta da Scatole Parlanti, che ringrazio.
2 – Mi descriveresti il tuo libro con tre aggettivi?
Scanzonato, come la voglia di non prendersi troppo sul serio provando a scendere con leggerezza sulle cose. Denso, come sono i ricordi e l’identità. Vero, come il vissuto che racconta e come l’urgenza di cambiamento di noi tutti.
3 – Come hai scelto gli argomenti dei vari racconti?
Come ti dicevo, “Affreschi di quartiere” non ha nessun binario obbligato, prestabilito. Ciascun argomento è emerso in superficie da sé, seguendo la risalita in ordine sparso a far rammentare questo o quel gioco, quelle auto, quelle sensazioni, quei tipi di comportamenti, quei proverbi, tutto riportato nelle vivide pupille delle persone che hanno vissuto realmente in quel mondo.
4 – Qual è quello a cui tieni maggiormente ed invece ce n’è uno che volevi inserire, ma è rimasto fuori?
L’episodio a cui tengo maggiormente è senza dubbio “Il Ghetto”, sia perché è stato il primo, e tale è rimasto, sia perché secondo me garantisce una panoramica visiva e umorale del contesto borderline della borgata, insomma ne traccia il mood. Poi ci sono tanti episodi a cui sono legato come “Noi e gli animali” “I funerali” e lo special “Intimo Postal Market” che inglobano ricordi personali più nitidi.
Affreschi è nato per gioco ma pare si stia inventando un modo di prendersi più sul serio di quanto avessi pensato. Avrei voluto inserire molti altri episodi e integrare quelli che ci sono già con tutte le segnalazioni e i suggerimenti che ci sono arrivati, tra cui pure qualche errore nelle didascalie delle foto scovato dagli attentissimi lettori, che voglio ringraziare davvero e con profonda sincerità per l’attenzione e l’affetto mai scontati.
Affreschi è diventato un lavoro a tante mani insomma, e nella presentazione che finalmente abbiamo potuto fare in presenza, alla Mondadori di via Jenner qua a Roma giorni fa, qualche lettore ha già chiesto il sequel. Chissà…
5 – Al suo interno ci sono anche le fotografie di Gigi De Grossi: come è nata l’idea e la vostra collaborazione?
Sì esatto, il libro si è arricchito con alcune foto dell’epoca del bravissimo Gigi De Grossi, che in quei tempi fece di Magliana il suo “Vietnam”. Foto dal fronte, in cui ha catturato e fermato un modo di esistere, comune a chissà quante altre realtà simili certo, ma unico come ogni esperienza.
Tutto è nato mentre frugavo in rete alla ricerca di immagini per il montaggio del cineracconto a cui stavamo lavorando. Così, con l’occhio stanco dopo aver scorso sequenze infinite di foto, mi si è piazzato davanti qualcosa che mi ha fermato di botto. Era mio nonno immortalato in uno scatto di Gigi mentre camminava, in un quasi inverno forse, col suo passo fiero su viale Vicopisano.
Beh quello scatto oggi è la copertina di “Affreschi di quartiere. Magliana 7.0” e la sinergia con De Grossi è consolidata. Cerco di essere sempre attento ai segnali che la vita dissemina, e questo è uno di quelli.
6 – Ci puoi raccontare, se c’è, un aneddoto sul tuo libro?
Come ho appena detto l’aneddoto più incredibile, che non dimenticherò, è senza dubbio quello della foto di mio nonno e Gigi De Grossi.
Ma poi ne sono seguiti tanti altri in cui le persone mi hanno scritto sui social, o qualcuno che conosco addirittura fermandomi per strada, con la voglia di raccontarmi un proprio episodio dell’infanzia e suggerirmi magari altre “armi improprie” di cui parla il racconto “Le botte”, che ha svegliato molti “lividi” ricordi.
Un ultimo aneddoto preferisco accennarlo e basta. C’è chi dice che “Affreschi di quartiere” sia stato visionato anche da ambienti poco consoni, in ombra per così dire, preoccupati di quello che ci potesse essere all’interno delle pagine, ma la mia è un’altra storia.
7 – Come ti descriveresti con tre aggettivi?
Difficili da estrarre tre aggettivi dal cilindro. Essenzialmente un bell’uomo, grazioso quantomeno. Un Giovialepesante e uno Scemogeniale fino alle 23.00, poi inventore dopo le 03.00 del mattino, per scoprire, sul far del giorno, che tutte le invenzioni inventate spesso si autodistruggono.
8 – Hai pubblicato sia romanzi, che libri di racconti: quale preferisci scrivere e perché?
Ho scritto e pubblicato diversi progetti, tra questi i romanzi “Asintoto” nel 2007 (ormai fuori catalogo), “Omar dei Corvi” nel 2019 e i racconti di “Affreschi di quartiere. Magliana 7.0”.
Scrivere per me è un viaggio che inizia da lontano e che nel tempo ha preso mille vie diverse, tortuose, irte o ripide a scendere, dritte come pure torte e poco battute. È sempre la storia che piglia fuoco da qualche scintilla a decidere il suo mezzo d’espressione. Non ho la presunzione di pensarmi un artista completo, anzi credo che sia proprio l’incompletezza la benzina, il propellente.
Di sicuro negli anni si acquisisce consapevolezza e struttura, ma non voglio mettere paletti al mio modo di dar vita alle cose. Infatti alla scrittura nel tempo si è unita di prepotenza la pittura, con la quale ho un rapporto esplosivo, vulcanico che va oltre la semplice ispirazione momentanea o impulsiva. Esiste un legame con la tela di rispetto e collaborazione, di odio e amore, un mutuo soccorso, e forse “Affreschi” è una sorta di crasi tra questo e quello.
Non posso scindere questi modi di condividere ed esprimermi, sono la mia maniera di fare arte. Mi appartengono e non saprei quale sia preminente. Sono intermittenti e riescono a essere esaustivi, collaborativi, ma soprattutto hanno la capacità di espandere la mia anima e a svuotarla prudentemente prima che trabocchi o esploda.
9 – Quali sono i tuoi autori e libri preferiti: puoi citarmene un paio?
Ce ne sono almeno mille mila di artisti che potrei citare che mi hanno influenzato, che hanno lasciato un solco netto, non parlo solo della scrittura, ma anche della pittura, della musica e del cinema.
Per restare in tema letterario autori moderni dei quali ho quasi tutto, anche se non ho ancora letto proprio tutto, sono Murakami e McEwan, a questi si uniscono davvero tanti altri anche italiani, o scrittori principalmente di graphic novel come Neil Gaiman. Amo l’arte e la bellezza in qualunque modo decidano di manifestarsi e di lasciarsi sorseggiare.
10 – Infine una curiosità: qual è stato l’ultimo libro che hai comprato e/o letto?
Ultimamente mi sono ritrovato a prendere più libri in una sola volta. Alcuni di autori emergenti che sono diventati amici, come “Bucolica” di Ferlito e “Il vento e la pioggia” di Stefania d’Angeli, entrambe produzioni gestite con meccanismi di auto promozione molto interessanti.
Credo sia importante leggere anche testi fuori dai grandi circuiti blasonati. Così come autori affermati, tra cui “Concerto a vanagloria” di Fiorentini, “Il Colibrì” di Veronesi e l’immancabile Saramago con “Le intermittenze della morte”. Poi mi capita di rileggere da capo cose del passato, come “L’uccello che girava le viti del mondo” di Murakami, quando era ancora Murakami.
Biografia
Daniele Pozzi è nato a Roma nel 1969, laureato in Economia a “La Sapienza” di Roma con una tesi su telelavoro, economicità e impatto ambientale. Ha scritto Asintoto (Il filo Ed., 2007), premiato al XXV Premio Firenze al salone dei Cinquecento e tra gli “Scelti per Voi” di Feltrinelli, Racconti pubblicati su Enzimi di “Estate romana”, il romanzo Omar dei Corvi (Albatros, 2019. Un progetto gratuito selezionato per qualità), e la raccolta di racconti Affreschi di quartiere. Magliana 7.0 (Ed. Scatole Parlanti, 2020), il suo ultimo progetto editoriale. Alla scrittura unisce la pittura, i suoi quadri sono stati esposti a Milano, Parigi, Napoli, Siena, Roma, in mostre collettive e gallerie d’arte. L’universo espressivo di questo artista è caratterizzato da un lirismo denso, che si amalgama a una capacità di osservare l’intorno, sociale e interiore, con lucidissima verità.
Ti ringrazio di aver riposto alle mie domande !
Alla prossima
Gabrio