Titolo: Dischi da correre
Autore: Stefano Causa
Editore: Roberto Nicolucci Editore
Pagine: 90
Formato: 20×20
Prezzo: € 18,00
Uscita: 15 novembre 2022
Prefazione: Roberto Nicolucci
“Il piatto, la puntina che saltava, i graffi, la polvere. Non è nostalgia. Piuttosto una faccenda di rituali e gesti che non avrebbero mai potuto dirsi completa o realmente soddisfacente se, all’ascolto, non si fossero accompagnati la lettura dei testi e la visione delle immagini”
Un volume curato in tutti i suoi dettagli, ben scritto ed impaginato in modo meraviglioso su ottima carta pregiata. È in grado di intrattenere ed incuriosire i suoi lettori, tutti gli amanti della musica, ripercorrendo il passato e risvegliando una marea di ricordi. Le illustrazioni a colori danno un tocco in più, abbellendo le pagine. Il particolare formato è comodo ed attira l’attenzione. Un piccolo gioiellino che non deve mancare nelle case di ogni appassionato di musica!!!
Qui sotto la seconda di copertina, la biografia dell’autore e un passaggio del primo capitolo.
Seconda di copertina
Chi ha detto che le copertine non sono importanti? L’autore di questo libro, cresciuto a colpi di vinili e compact disc, la pensa diversamente. La copertina non è una semplice soglia da superare distrattamente. Tutt’altro. Una copertina e un titolo azzeccati sono già metà del percorso fatto con il lettore e, in questo caso, con l’ascoltatore.
Alcune copertine, che compaiono nel tesoretto scelto per questo piccolo volume, sono autentici distillati di gusto, arguzia e intelligenza critica: dai Beatles a Tina Turner, da Sade a David Bowie. In taluni casi siamo a meno di un passo dal capolavoro e non ci si smette di stupire che le immagini di accompagnamento del White Album del 1968 non siano precipitate nei libri di storia dell’arte da dove sarebbe il caso di non muoverle più.
Un libro agile e svelto da consigliare ai nostalgici del supporto che aspettano solo un segnale per rimettere sul piatto o nel lettore dischi da tempo lasciati nelle custodie e soprattutto a quanti, con un clic, scaricano oggi tutta la musica del mondo: ma distrattamente. E, senza vederla! Attenzione! prima che la puntina inesorabilmente cada, sappiate che nella musica, come nella vita, occorre correre dei dischi!
Biografia
Stefano Causa nasce a Napoli. È uno storico dell’arte moderna e contemporanea e, a tempo guadagnato, un appassionato di musica, specialmente afroamericana. Ha studiato a Firenze nella seconda metà degli anni ‘80, laureandosi con Mina Gregori e Ferdinando Bologna, due degli ultimi allievi e interlocutori di Roberto Longhi. Ha una formazione di pretto conoscitore longhiano che, nel corso degli anni, ha integrato e temperato con incursioni nella storia della critica d’arte e della museografia.
Ha scritto libri su Longhi e l’arte contemporanea, su Battistello Caracciolo, la pittura caravaggesca, sulla natura morta, sulla pittura italiana e francese del ‘9oo, oltreché su alcune grandi mostre del secolo scorso. Di recente ha organizzato due rassegne monografiche sul pittore barocco Luca Giordano, tenutesi a Parigi e a Napoli tra il 2019 e il 2020.
Di quest’anno, al Museo nazionale di Capodimonte di Napoli, in collaborazione con Patrizia Piscitello, le mostre Battistello Caracciolo. Il patriarca bronzeo dei caravaggisti e Oltre il Caravaggio, primo tentativo di superare, con un nuovo allestimento delle sale, la tradizionale dicotomia tra mostre e musei. Scrive regolarmente sul Giornale dell’Arte.
“Ma dove sta scritto che toccata la cima (Help?) non si possa fare (ancora) meglio? L’ottimo non è nemico del bene – come diceva Metastasio nel ‘700 – tutt’altro. Rischia, semmai, di essere l’amico che gli cammina affianco come un pungolo e una tentazione (il grillo parlante, simpatico e non pedante, un grillo a rovescio; e sta a vedere che Pinocchio non lo elegga a compagno di bugie). L’ottimo è il grillo del bene, ci dicono i Beatles nel 1965.
Capita che alcuni dei proverbi con cui siamo cresciuti si rivelino clamorosamente falsi. Specie quando debbano misurarsi con passaggi di tempo paurosamente densi come quelli che scandiscono gli inoltrati anni 60, che per la musica non jazz possono mettersi a pari soltanto, a tenersi stretti, con quanto successo a Roma, sotto papa Giulio II, tra il 1508 e il ‘12 o con il gettito di miracoli che offre la scena parigina tra il 1863 e il ’70 (Manet, il Cezanne maturo, il primo Monet o, tra gli altri, Flaubert e Nerval, per la serie: dove cadi, cadi bene). Mettici che, a distanza di sessant’anni, molto più di un’eternità, Rubber Soul, per quanto stilisticamente e culturalmente confitto negli anni 60, suoni come appena uscito. Antico e fresco di giornata..”