Titolo: L’animale più pericoloso
Autore: Luca D’Andrea
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero big
Pagine: 232
Prezzo: € 17,50
Uscita: 14 gennaio 2020
Recensione
“Una caccia all’uomo fra sentieri nascosti, masi abbandonati, cadaveri senza nome e interrogativi per cui, forse, non esiste risposta. In particolare uno: qual è l’animale più pericoloso?”
Le righe che avete letto sopra si trovano in quarta di copertina. Vi racconto prima di tutto un aneddoto di questo libro: “L’animale più pericoloso” è uscito a puntate su “La Repubblica” dal 9 al 25 agosto 2019, quindi magari qualcuno di voi ha già avuto il piacere di leggerlo.
Conoscendo Luca D’Andrea come autore, non vedevo l’ora di iniziare questa sua storia con protagonista la ragazzina Dora Holler, di 13 anni, che scappa di casa con Gert, un uomo conosciuto online. Sicuramente la trama è appassionante ed intrigante.
Devo ammettere, però, che durante la lettura mi ha fatto nascere qualche dubbio. Se da una parte mi è piaciuto, almeno per due terzi della storia, dall’altra ho trovato alcuni punti un po’ troppo lunghi e in rari casi un po’ contorti. Ma ciò, comunque, in una piccola parte delle 232 pagine.
La vicenda è sicuramente avvincente, ci sono momenti in cui il ritmo è spettacolare e palpitante. Infatti ci tiene incollati alle pagine grazie alla sua frenesia e ad alcuni colpi di scena che ci regalano sani momenti di adrenalina. Evviva !
Per quanto riguarda la scrittura di Luca D’Andrea, posso confermare che è assolutamente bravo con la penna, infatti, scrive in modo scorrevole e sa gestire le varie scene. Il ritmo dell’azione è brillantemente vivace. Inoltre sa descrivere egregiamente i personaggi. Anche la quantità di tensione è ben dosata, infatti riesce a tenere accesa l’attenzione del lettore e a stimolare la sua curiosità. Per quanto riguarda i personaggi, avrei insistito maggiormente sulla dottoressa Pellegrini che mi è sembrata molto interessante con tanto da regalare alla vicenda.
Una curiosità: l’autore strizza l’occhio ad un personaggio famoso ed attuale. Ciò appare subito nella prima pagina di cui vi riporto un passaggio:
“Dora aveva tredici anni e stava scappando di casa perché portava le trecce come Greta Thunberg, perché leggeva un sacco di libri e guardava ancora più documentari, perché aveva deciso che il tofu era meglio dello speck, perché sua madre mentiva quando le assicurava che questa ragazza-bruco sarebbe presto diventata una splendida ragazza-farfalla, ma soprattutto perché suo padre, l’uomo che una volta l’aveva portata sulla Croce Rossa ad ammirare la danza d’amore delle aquile, le aveva detto che – certe faccende – non erano – roba da tredicenni.”
Tornando alla storia, sicuramente, oltre ad essere scritta bene (togliendo magari qualche parte), è scorrevole e piacevole da leggere. Sembra di assistere ad un film, infatti, si immaginano davvero bene le varie scene e potrebbe quindi essere una sceneggiatura per il cinema.
All’interno mi sono imbattuto in una frase di grande impatto e che resta in mente:
“…noi siamo mosche che credono di essere ragni…”
Consiglio “L’animale più pericoloso” agli amanti del genere, a chi ha voglia di adrenalina e di una storia con diverse sfaccettature. Inoltre per chi vuole un libro scritto bene, perché, secondo me, tra i punti positivi c’è proprio lo stile di scrittura di Luca D’Andrea.
Trama
Dora Holler ha tredici anni e le idee chiare su ciò che non va nel mondo. Adesso si è data una missione: salvare il nido di una lince. Perciò scappa di casa con Gert, uno che ha conosciuto su Internet. Solo che Gert è un adulto e, soprattutto, il movimento ecologista di cui dice di far parte non esiste.
Gert le ha mentito; mente sempre, perfino a sé stesso. Una fuga che doveva essere un viaggio iniziatico si trasforma in un incubo, impigliandosi nelle maglie di un disegno spaventoso che parte da molto lontano.
La ricerca di Dora scatena volontari armati di fucile, teste calde e lotte di potere. Per salvarla serve qualcuno che ha conosciuto da vicino l’essenza piú pura dell’orrore, un uomo «secco come un colpo di manganello e dallo sguardo come filo spinato». Il capitano dei carabinieri Viktor Martini, quello che in un’altra vita, a Roma, ha catturato lo Squartatore di Testaccio. E da allora non è più lo stesso.